mercoledì 2 novembre 2016

Capitolo VII - The day the Sky exploded



Piazza San Marco. Il punto più importante della città, il punto in cui c’è un tripudio di piccioni. Nel senso di uccelli, naturalmente! Questo è il motivo per cui, appena giunti nella suddetta piazza, scegliamo uno dei tanti piccioni e lo tramutiamo in Edoardo, il piccione adottato, intervistato sul perché si trovava lì, su quante briciole ingurgita al secondo e su quanto possa essere scomodo muovere la testa a ritmo tunz-tunz ad ogni passo.
Miriam decide di impossessarsi del telefono e di scattare un selfie con tutti; fortunatamente, capito anche io in una delle foto. Naturalmente, anche Francesca è lì.


Finito di ridere e scherzare, giungiamo a contemplare S. Marco, la Basilica romano-bizantino-gotica, con le sue arcate dorate e l’affresco che ormai, per questione di principio, devo conoscere.
-Francesca! Vieni allo zio, vieni, che qua sta l’affresco.
-Sì, sì, arrivo! Posso descrivere?
-Sei la mia guida turistica, o dobbiamo aspettare la tua classe?
-Ehm, in realtà non c’è nessuno, manco la professoressa.
-Ah, già. Beh, ci sono io, il miglior pubblico che tu possa desiderare!
Sorride. Di nuovo quel sorriso. Maledizione, non resisterò a lungo.
-Puoi qui ammirare la lunetta situata sulla facciata del portone della Basilica di S. Marco rappresenta..
Non so minimamente cosa abbia detto dopo. Riesco solo a fissarla, a guardare le sue labbra carnose che si muovono. Riporto dunque la definizione di Wikipedia per completezza.

La lunetta del portale centrale è decorata secondo l'usanza tipicamente occidentale in epoca romanica, con un Giudizio universale, incorniciato da tre archi scolpiti di diverse dimensioni, che riportano una serie di Profeti, di Virtù sacre e civili, di Allegorie dei mesi, dei Mestieri e di altre scene simboliche con animali e putti (1215-1245 circa). Questi rilievi mescolano suggestioni orientali e del romanico lombardo (quali le opere di Wiligelmo), ma vennero realizzati da maestranze locali.

Ci raggiungono le amiche di Francesca. Dobbiamo necessariamente metterci in fila per Palazzo Ducale. Non il museo Correr, in cui possiamo ammirare Dedalo e Icaro di Canova, ma un palazzo. Io voglio andare a vedere Dedalo e Icaro, Francesca pure, ma non ci si può allontanare dai professori. Nulla smuove questa sua idea. Bisogna depositare gli zaini per entrare, ma io non ho zaini con me, questa parte mi interessa poco. Iniziamo a visitare il palazzo, continuo a pensare che non voglio restare là. Mi avvicino a Francesca.
-Che schifo questo posto; abbiamo pure pagato il biglietto per l’intera piazza e non faremo mai in tempo a visitare il museo Correr! Peccato che non possiamo manco uscire, dato che hai lasciato lo zaino nel deposito.
-Marco, in realtà io non ho uno zaino.
Silenzio. Ci fissiamo, per la prima volta intensamente. Nell’arco di mezzo minuto, abbiamo raggiunto i professori, chiesto di cambiare museo – solo noi due – e spiegato che non abbiamo zaini, ottenuto il permesso. Stiamo correndo in piazza San Marco, ridendo, con gli uccelli che ci volano intorno. È una scena molto da film, se solo ci fosse stato il bianco e nero!
Visitiamo il museo Correr da soli; mi ritrovo con una ragazza, dovrei dichiararmi. Forse lo devo fare, il contesto artistico sarebbe perfetto. Ma sì, ora lo faccio. Dai, Marco, fatti coraggio! Devi solo..
-Ehi Marco, ecco Dedalo e Icaro!
Ed ecco che l’arte mi aiuta a non correre troppo. Grazie, Canova! Selfie con Dedalo e Icaro alle spalle, foto all’opera in sé e si torna dagli altri.
-Francesca, ma non possiamo approfittarne e visitare l’intero complesso di Piazza S. Marco?
Le si illuminano gli occhi. Visitiamo tutta la piazza, correndo, poi entriamo nella Basilica. Ci raggiungono gli altri, che nel frattempo hanno visitato solo Palazzo Ducale – pfff, pivelli – e decidiamo tutti insieme di andare all’Hard Rock. Trovo una maglietta fantastica degli Imagine Dragons, la compro, poi Francesca torna al centro con le amiche. Trovo dei braccialetti rossi a tema, con un ciondolo raffigurante una nota; da un lato è inciso il logo dell’Hard Rock Cafè, dall’altro la scritta Love. Un piccolo pensierino per una grande ragazza; ne compro due. 


Raggiungo Francesca al centro.
-Chiudi gli occhi.
-Perché?
-Fidati di me. Ti fidi?
-Ehm..
-Tu chiudili, non ti mangio mica!
Chiude gli occhi, le prendo la mano, gliela apro e poggio un braccialetto. Poi mi allontano come se nulla fosse.
-Aspetta, ma.. È per me?
L’ingenuità di Francesca, potrei scriverci un blog! Ah, aspetta..
-Un piccolo pensierino per te, ancora pensi che la nostra amicizia finisce qui! E tra l’altro, ora sei in debito; dovrai farmi un regalo entro la fine del viaggio! E i Mars non contano!!
Di colpo, ci ritroviamo invasi dai gabbiani. C’è un momento esatto della giornata in cui a Venezia tutto lo stormo di gabbiani decide di prendere di mira i poveri turisti per defecare e centrare quante più teste possibile. Parte l’anarchia; ragazzi che aprono l’ombrello, gente che corre e urla, professori che si riparano sotto al proprio giubbotto. Non perdo l’occasione, anche la Natura è dalla mia parte. Abbraccio Francesca, la stringo forte a me. Lei non ricambia, ma mi illudo che sia un modo per dire “Così mi sento protetta, grazie”, mi sta bene così. Il minuto di fuoco termina; ridiamo, scherziamo, poi torniamo verso il treno. Tornando, ci rendiamo conto che siamo nati con solo due giorni di differenza, ma questa è un’altra storia. La terza delle quattro giornate è terminata, ora dobbiamo solo cenare e dormire. A meno che, dopo la cena, non ci venga in mente di rimanere tutti nell’open space per giocare a Bang! e continuare a divertirci. Indossiamo tutti il pigiama, poi ci ritroviamo e iniziamo a giocare; non ci sono abbastanza posti per tutti, Francesca si ritrova seduta sulle mie gambe. Alla fine della partita, in cui la legge domina incontrastata, ci accingiamo a tornare nelle nostre camere.


Accompagno Francesca nella sua camera. Arrivati all’uscio, mi viene un’idea malsana: chiederle di non andare a dormire ma restare con me. Stare insieme in camera, parlare un po’, evitare di sprecare l’ultima notte. Però forse sto esagerando, a tutto c’è un limite e, per ora, è meglio aspettare.
-Grazie per avermi accompagnato. Buonanotte Marco.
-Buonanotte Francesca, a domani.

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