Quattordici marzo
duemilaquindici. Tutte le cose belle finiscono, oggi è l’ultimo giorno di
questo viaggio di istruzione che si candida a migliore gita della mia vita. Prima di tornare verso casa, però, c’è
un’ultima tappa: il Vittoriale, complesso
di edifici, piazze, giardini e corsi d’acqua legato alla figura di Gabriele D’Annunzio.
Ho sempre trovato particolarmente affascinante la figura di D’Annunzio – all’anagrafe
d’Annunzio – e in particolar modo sono estasiato dal suo lato poetico. La pioggia nel pineto, per citarne una
fra tante.
Il viaggio è abbastanza tranquillo, procede senza intoppi.
All’arrivo, presso l’entrata del Vittoriale, scopriamo che la visita del
complesso non ha un itinerario prestabilito né una guida, mentre per entrare
nella casa di D’Annunzio, gli alunni sono stati divisi in gruppi da quattro –
in base ai biglietti e, quindi, all’ordine alfabetico – e possono entrare ogni
mezz’ora con una guida; il tragitto interno dura circa un’ora. La mia classe
non ha voluto aderire alla spesa per entrare nel Vittoriale, in fase di
preparazione del programma del viaggio. Ci ritroviamo solo io e Francesco a
staccare i biglietti per la casa di D’Annunzio.
Mi avvicino a Francesca.
-Che biglietto hai?
-Lettera D, sono nel
quarto gruppo quindi. Tu invece, l’hai preso per ultimo, che lettera hai?
-Lettera P.
In quel momento arriva l’idea geniale; quando hai bisogno
che qualcosa vada nel verso giusto, non puoi lasciare tutto nelle mani del
fato. Ci vuole un pizzico di tattica.
-Tu vorresti entrare
con qualcuno in particolare, o ti trovi bene nel gruppo D?
-Io vorrei entrare con
Mariateresa, ma non abbiamo la stessa lettera..
-Perfetto, allora un
attimo, devo fare una cosa.
Dopo circa venti minuti di compravendita, il gruppo L è formato da me, Francesco, Francesca,
Mariateresa. Ho proposto scambi su scambi, ho stravolto tutti i gruppi, ma alla
fine ce l’ho fatta. Posso anche visitare l’intero Vittoriale con Francesca,
senza incompatibilità di orari.
-Poniamoci un
obiettivo, tutti e quattro. Dato che quest’anno scatto selfie a non finire,
dobbiamo scattare un selfie in ogni posto carino che troviamo! Ci state?
Arrivati nei pressi di una delle strutture del Vittoriale,
scorgo un cartello che indica “I bambini
devono procedere accompagnati dai genitori”, con la figura di un bambino
che tiene per mano un adulto. Guardo Francesca.
-Guarda, là dice che i
bambini devono andare mano a mano con gli adulti. Tu sei piccola e indifesa,
devi darmi la mano, questioni di sicurezza.
Mi porge la mano. Non mi sarei mai aspettato una mossa del
genere. Per trenta secondi camminiamo mano nella mano, per trenta secondi io
non capisco più niente; intorno a me non esiste più altra gente, non esiste più
il Vittoriale, non esiste l’Universo. Sto provando una sensazione che era
sepolta negli angoli più remoti del mio cuore.
Ci riprovo ad un altro cartello uguale. Stavolta però cerco
di intrecciare le mani, incastrando tra loro le mie dita e le sue. Lei
prontamente toglie la mano.
-No Marco, così no.
Passo la mezz’ora successiva a maledirmi. Lo sapevo, ho
superato una soglia a cui non mi sarei dovuto avvicinare. Ho rovinato tutto,
ora tornerò alla solita vita di tutti i giorni. Sono un deficiente, sono un..
-Marco, guarda, c’è di
nuovo quel cartello. TI devo dare la mano.
Mi sorride. Ci teniamo per mano per molto più tempo rispetto
a prima. Sono a dir poco euforico. Probabilmente sono stato anche un po’
lunatico, nell’ultima ora.
Entriamo nella casa di D’Annunzio, veniamo ulteriormente a
conoscenza dell’eccentricità del poeta, ci presentiamo a Carolina, la tartaruga
imbalsamata che faceva le veci del Vate durante le cene. C’è anche un momento
in cui io sono dietro Francesca e la sto abbracciando, e lei è appoggiata a me.
Ne ho un ricordo molto vago, l’alchimia ci ha portato in una situazione
utopica, fuori dal mondo.
Finiamo il nostro giro, aspettiamo gli altri gruppi, poi ci
avviamo verso il pullman. Per l’ultima volta. Il Fato – dove per Fato intendo le amiche di Francesca, che hanno capito tutto di me – vuole che
Francesca si sia seduta da sola; il viaggio di ritorno lo passo tutto accanto a
lei; parliamo per tutto il tempo di tante cose, ci conosciamo in modo più
approfondito, poi giochiamo a carte e lei, per questioni di spazio, si siede in
braccio a me. Erica scatta una foto di nascosto; è mossa, ma rende l’idea della
situazione.
Carico il SelfieOfTheDay prima che sia troppo tardi.
Finito il viaggio, la prima tappa è Corato. Prima di scendere, Francesca mi guarda e mi dice “La nostra amicizia non finisce qui”. Non dimenticherò mai quella frase. Ho vissuto i quattro giorni più belli della mia vita; lei non ha capito le mie intenzioni, ma poco importa. Io sono stato benissimo con lei, ho conosciuto persone nuove e mi sono divertito un mondo. Ho tanti ricordi, tanti cimeli di attimi vissuti con lei. Le foto in primis, ma anche gli sguardi, i sorrisi, i contatti. Siamo in perfetta sintonia, ma ancora non ce ne rendiamo conto entrambi. La adoro.
Probabilmente, “La
adoro” non l’ho solo pensato, ma l’ho detto. Non a voce troppo alta, ma
abbastanza da permettere ad altri di sentirlo. Altri che con Francesca hanno un
rapporto stretto. Mi guarda e sogghigna. Spero non vada a riferirlo, ma nel
frattempo, non c’è nulla che possa distogliermi dai miei cimeli. Me li sono guadagnati tutti, vivrò di quegli attimi. I nostri attimi.
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