Undici marzo duemilaquindici.
Possiamo finalmente partire, il pullman si trova, come al solito, nella piazza
del paese.
-Quanti saremo in questo viaggio? - Chiedo.
-Noi, la quarta D e la quarta E. -
Una risposta al contempo
esaustiva e non; il corso D è il nostro corso gemello, ci conosciamo tutti, ci
vogliamo bene e ci odiamo, insomma, normale routine. La quarta E, al contrario,
non mi suona familiare: non conosco quasi nessuno di quella classe, e la cosa è
ottima, perché questo implica la possibilità di conoscere nuove persone!
Passiamo da Corato, preleviamo gli ultimi ragazzi e partiamo. Per l’ennesima
volta, finalmente. Il viaggio inizia
come ogni viaggio; è notte, si inizia a parlare mentre altri decidono
solennemente di dormire e riposarsi; promessa puntualmente rotta dopo circa
sette minuti dalla partenza. Selfie di rito con i best della classe, invio al professore tramite WhatsApp, circa un
centinaio di foto di Erica, prima sosta, poi subentra il bisogno di svolgere
attività collaterali.
Il primo selfie |
Erica e Paola, e sì, parlerò anche di Paola |
La prima sosta |
Da sempre, nei viaggi d’istruzione, c’è il membro della classe che porta le carte da gioco; scopa, Burraco, Uno, sono solo alcuni degli esempi di attività collaterale da svolgere in un pullman pieno di ragazzi tra i sedici e i diciassette anni. I più alternativi optano per giochi di ruolo alla Lupus in Fabula, altri preferiscono chiudersi nello smartphone; Fruit Ninja e Angry Birds non sono altro che esempi alla stregua di quelli fatti a proposito dei giochi di carte. Io voglio sempre essere quello più alternativo di tutti, voglio fare lo sborone, così diciamo da queste parti. Io non porto carte napoletane, io porto veri e propri giochi da tavolo. Prima che pensiate di vedere in un pullman case e alberghi volare tra Parco della Vittoria e Vicolo Stretto, fermatevi; non parlo di giochi con pedine, stivali, funghi e armi/stanze/assassini, ma di giochi a turni, senza dadi e con carte che fungono da potenziamento. Di preciso, di cosa parli? Bang!, prima di tutto. Bang! è un gioco di carte in cui ognuno deve impersonare un personaggio del Far West con un preciso ruolo – sceriffo, vice, fuorilegge e il più affascinante, rinnegato – e competere verso gli altri mantenendo il proprio ruolo segreto e cercando di far vincere la legge o contrastarla. Bang! è un compagno di avventure, prima che un gioco; non c’è stato viaggio senza Bang!, anche se la difficoltà dello stesso impedisce di essere giocato perfettamente. È così il turno di Cards Against Humanity, un gioco dalla morale dubbia ma dal divertimento assicurato. Ogni giocatore ha dieci carte che indicano dei nomi o delle situazioni più o meno divertenti, più o meno moralmente giuste. Un master possiede un mazzo di carte nere, le carte domanda: ad ogni turno, pesca una domanda e la pone ai partecipanti, i quali in modo anonimo consegnano la propria risposta al master. Il master legge le risposte, il gruppo vota. Il proprietario della risposta con più voti guadagna un punto. Un gioco facile, veloce, dai tre ai quantinevolete giocatori.
Ragazzi, volete provare un gioco divertente? Si chiama Cards Against
Humanity, vi divertirete!
Iniziamo a giocare, con
l’aggiunta di altre persone: si tratta di un paio di ragazze della quarta E,
ragazze con cui non ho mai parlato, ma alla fine siamo in un pullman e vogliamo
giocare, non c’è nulla di male nell’invitare un po’ tutti. Domanda, risposte,
voti, punto. Domanda, risposte, voti, punto. Domanda, rispost..un attimo.
Fermiamoci qui. Io ovviamente sono il master, io leggo le risposte ma voto solo
in caso di spareggio, eppure c’è una risposta – Matitina Ikea, ma vi assicuro
che con la domanda era perfetta – che mi ha colpito per l’originalità e la
massiccia dose di non-sense che caratterizza l’intero gioco. Di lì la frase che
avrebbe cambiato la mia vita.
Chi ha dato Matitina Ikea? Per me ha vinto a prescindere!
Timidamente, una mano si alza da
dietro un sedile. Spunta un volto piccolo, sperduto.
Io, l’ho data io.
La vedo per bene per la prima volta, tutto intorno a me si ferma. È bellissima.
Io, l’ho data io.
La vedo per bene per la prima volta, tutto intorno a me si ferma. È bellissima.
Non ci penso due volte, devo
sapere chi è. Le tendo la mano.
-Ciao, io sono Marco.
La sua mano entra in contatto con
la mia. È liscia, vellutata, calda.
-Piacere, Francesca.
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